I senior in azienda
I cosiddetti “senior”, cioè coloro che in azienda hanno superato i 50, non sono più molto apprezzati dai datori di lavoro perché considerati lenti, distratti, poco adattabili e resistenti al cambiamento. E’ inoltre possibile che quando serve rapidità commettano più errori, che non amino il lavoro di gruppo e che non capiscano nulla di nuove tecnologie. Meglio un giovane, sveglio e malleabile, di un anziano con idee arretrate, lento di comprendonio e dal rendimento insufficiente.
Ma davvero gli over 50 sono così o queste opinioni sono solo stereotipi?
Neuroplasticità
E’ il termine con cui si indica la capacità del nostro cervello di ristrutturare le proprie reti neuronali e le moderne tecniche di neuroimaging stanno verificando che, con il passare dell’età, il nostro cervello può ristrutturarsi per fare fronte a richieste diverse. E’ sicuramente vero che con l’età alcune prestazioni del nostro cervello rallentano, ma questo non significa che le funzioni cognitive diminuiscano.
E’ stato ad esempio dimostrato che il riconoscimento dei volti, con il passare dell’età, coinvolge aree cerebrali diverse della corteccia (Rotman Research Institute di Toronto), così com’è strato dimostrato che durante alcuni compiti di memorizzazione i senior che ottengono i risultati peggiori sono quelli che attivano le stesse aree cerebrali dei giovani, mentre a realizzare i punteggi migliori sono gli over 50 che hanno schemi di attivazione diversi (Duke University).
Le persone più mature hanno il vantaggio dell’esperienza e del sapere accumulato (conoscenze, comprensione generale e vocabolario) che permette loro di essere generalmente più abili nelle competenze sociali o nell’affrontare conflitti o questioni delicate ad esempio con i clienti.
I giovani hanno il vantaggio della flessibilità e della velocità di esecuzione che permette di essere generalmente più abili nel cambiare compito, nel focalizzare la propria attenzione con maggiore velocità, nell’orientarsi in un ambiente nuovo e di filtrare le informazioni non pertinenti.
Lentezza o cautela?
L’accademia delle scienze di Sofia ha ideato un esperimento per valutare la velocità di reazione delle persone anziane rispetto a quelle più giovani.
Su uno schermo apparivano 4 diverse lettere in ordine casuale e i partecipanti dovevano premere il più velocemente possibile un tasto con un dito diverso per ogni lettera diversa: medio sinistro per la lettera A, indice sinistro per la lettera E, indice destro per la I e medio destro per la O.
Come previsto i tempi di reazione delle persone più in là con gli anni sono stati più lunghi di quelli dei più giovani di circa 60 millisecondi. Ma, a dispetto della maggiore lentezza, il gruppo dei senior ha commesso meno errori.
Poiché le registrazioni effettuate con l’elettroencefalogramma non permettevano di sapere quale fase del processo (vedere la lettera, scegliere il dito, preparare e eseguire la risposta motoria) spiegasse il rallentamento, è stato ideato un altro test in cui i partecipanti dovevano reagire agli stessi stimoli, ma usando sempre lo stesso dito. I risultati di questo test hanno evidenziato una sostanziale parità tra le prestazioni dei più anziani e quelle dei più giovani, dimostrando che è la scelta del dito che rallenta le prestazioni degli anziani.
Ma il test ha dimostrato anche che gli anziani hanno sviluppato una maggiore abilità nel riconoscimento dello stimolo per compensare una minore velocità nella reazione motoria che porta a muovere il dito. Il rallentamento del gesto negli anziani non è dovuto a un rallentamento nel prendere una decisione, ma alla necessità che gli stimoli alla corteccia motoria raggiungano un’intensità superiore prima di innescare il movimento, permettendo agli anziani di agire con più cautela e di commettere meno errori. I cervelli degli anziani sembrano cioè prendersi più tempo per rendere più sicuro l’atto.
Qual è impatto organizzativo di queste scoperte?
In primo luogo che non bisogna lasciarsi guidare dai pregiudizi e considerare meno competitive le persone over 50. Molte delle loro presunte o vere carenze sono compensate dalla capacità del cervello di riorganizzare il suo modo di pensare e agire e di fare fronte a queste “carenze” con il miglioramento di altre capacità.
In secondo luogo che le organizzazioni possono ristrutturare le attività e i luoghi di lavoro in modo da minimizzare le presunte carenze di questi lavoratori per trarre il maggior profitto dalle loro capacità.
Non potete immaginare con quale gioia e orgoglio ho scritto questo articolo! Ho 52 anni e lo passo ai miei colleghi più giovani perché lo pubblichino sui “social” …
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