//Le grandi aziende abbracciano la rivoluzione “Business Analytics”, ma manca la cultura del dato.

 

“Produciamo enormi quantità di dati e sentiamo sempre di più il bisogno di dare loro un senso”.

Ieri ho partecipato ad un workshop sui paradossi della rivoluzione digitale, all’interno di un evento della Bocconi Alumni Association. Mi sono confrontato con colleghi Master MBA italiani ed esteri e il primo punto (nell’immagine sopra) su cui abbiamo concordato è stato che “ogni investimento in digitale rende sempre più critico l’investimento sull’analogico”: ovvero noi umani. Rappresentiamo infatti il vero collo di bottiglia, con competenze inadeguate per sfruttare pienamente i benefici di questo fenomeno.

Ad esempio, Harvard Business Review recentemente ha riportato i risultati di un sondaggio – giunto alla sua settima edizione – che indaga come grandi aziende si rapportino ai dati. L’analisi ha indagato sia l’impiego di Big Data sia di Intelligenza Artificiale ed è rivolto ad aziende di settori che producono il maggior numero di informazioni digitali: servizi finanziari, healthcare, produzione industriale, telco, e-commerce.

Il primo risultato è che le aziende investono sempre di più in progetti di Business Analytics (Analisi dei Dati, Intelligenza Artificiale, Machine Learning e Big Data); il trend è in crescita sempre più rapida: maneggiare e conoscere i propri dati può aumentare il valore prodotto per i clienti e gli azionisti, la competitività dell’impresa e le aziende se ne rendono sempre più conto.

Ben il 73% degli intervistati ha dichiarato di aver già ricevuto un ritorno misurabile da queste iniziative. In che modo?

Tra gli obiettivi espressi i principali riguardano la possibilità di avere strumenti di supporto alle decisioni, con particolare riferimento all’innovazione ed alla velocità di cambiamento rispetto al mercato. In particolare, circa l’80% delle aziende intervistate vede l’investimento in Big Data come l’unica possibilità di anticipare la disruption – l’entrata di un nuovo fattore competitivo nel mercato che cambia le regole del gioco, come l’arrivo di un concorrente con l’adozione di nuove tecnologie o di un nuovo modello di business.

Le aziende cercano quindi di affrontare il cambiamento culturale stabilendo nuovi ruoli (chief information officer, chief data officer, chief digital officer, chief analytics officer, ecc.): purtroppo c’è spesso poca chiarezza sull’effettivo rapporto (funzionale e gerarchico) di queste figure fra di loro, e con il resto del management. Non è chiara la direzione da prendere, né in termini di organigramma (funzione di staff? Inserita nel linea di business?), né se sia una competenza da far crescere internamente all’azienda, o da acquisire dall’esterno.

In breve, non basta mettere in piedi progetti specifici di Analytics, servono programmi concreti per realizzare il cambiamento a partire dalle radici delle organizzazioni. Stiamo parlando di grandi aziende cresciute prima della trasformazione digitale che si sentono minacciate dalla presenza di startup nate dentro la cultura del dato – una metafora aziendale della sfida dei singoli lavoratori che affrontano l’impatto della Digital Transformation: non basta dare in mano uno smartphone a chi è cresciuto col Fax; bisogna incentivarlo al cambiamento. Allo stesso modo l’azienda: non è sufficiente un Decision Support System; serve investire su tutta l’organizzazione a supporto, a partire da una chiara accountability sui dati e sul loro utilizzo strategico.

I nostri interlocutori privilegiati (gli HR Manager) come affronteranno questo cambiamento organizzativo, a partire dalla propria realtà, con l’arrivo dei People Analytics?

Con VANTIC ®, Choralia ha un proposta strutturata di metodo e di strumentazione modellata con la migliore Data Science.

Articolo a cura di Claudio Zamagni

2018-09-04T20:29:51+00:00 By |0 Commenti