//La rivoluzione digitale, il progresso tecnologico e la vera ignoranza

Ignoranza digitale

Per parlare di innovazione tecnologica bisogna, innanzitutto, riflettere sui suoi benefici, ma anche sui suoi rischi. Pubblicheremo tre articoli sul tema, il Martedì. ecco il primo. Per leggere il secondo, segui questo link.  Per leggere il terzo, segui questo.

Un recente articolo apparso su La Stampa (“Le 5 competenze digitali che servono per trovare lavoro”, una intervista a Patrizia Manganaro di Lorenza Castagneri – Pubblicato il 21/10/2016) sostiene che per trovare lavoro basterebbe saper usare bene il computer, avere un po’ di dimestichezza con le nuove tecnologie e che, secondo Google, in Italia ci siano almeno 100mila posti vacanti per mancanza di “professionisti digital”.

A nostro parere non si tratta di avere competenze informatiche solo per trovare un posto, ma anche per mantenerlo. Nel nostro lavoro di sviluppo delle competenze adeguate al miglioramento delle performance scopriamo, ad ogni progetto, che vi sono intere popolazioni a “rischio obsolescenza” perché – per insufficiente training, ma anche per pigrizia, incuria e vera e propria ignoranza digitale (non conoscenza), diventano progressivamente non competitive e scarsamente produttive… ad esempio i venditori che si lamentano del CRM, i promotori finanziari che faticano ad adottare le tecnologie per fare consulenza alle famiglie, i concessionari di automobili che vedono i tablet  come una distorsione del processo di vendita, le popolazioni aziendali che si impuntano  sul vecchio, di fronte al nuovo ERP. Ma siamo certi che il mercato andrà avanti, e anche senza (di noi) pigri digitali.

Non è che poi i cosiddetti nativi digitali siano tanto meglio, perché è vero che sono “smanettoni” e imparano a far funzionare il telefono in pochi minuti… ma ignorano completamente perché lo fanno e in che modo dovrebbe essere fatto al meglio per ottenere un risultato. Una sciatteria che un contadino del 18° secolo o un artigiano del primo 20° non avrebbe mai permesso ai propri figli, perché sarebbe mancato loro il cibo.

Noi, nel 21 secolo – nel migliore e più ricco dei mondi possibili, come diceva Karl Popper – invece lo facciamo. Ci possiamo permettere di scrivere mail inefficaci e in cattivo italiano, fare slides illeggibili, usare gli strumenti aziendali (ERP, CRM, knowledge management) come assolute seccature senza mai domandarci quanto bene potremmo fare al sistema ed a noi stessi, difendendo il nostro lavoro.

Ci possiamo permettere il rischio di rimanere un popolo di ignoranti digitali e spreconi (ma infelici del nostro declino)?

Cerchiamo di comprendere perché la digitalizzazione è solo una forma di cambiamento e – per quanto molto più rapido sia rispetto ad altri della storia – i “nostri vecchi” potrebbero insegnarci qualcosa.

mani artigianatoFacciamo una comparazione con la “very old economy”: un artigiano, solo un secolo fa, avrebbe fabbricato da solo lo strumento e i mezzi di produzione con cui avrebbe successivamente lavorato, mettendoci lo stesso impegno, se non lo stesso amore, per ottenere un risultato produttivo ed economico: un “closed loop” in cui il feedback istantaneo “educa” a trattare bene i propri attrezzi e a migliorare i metodi di lavoro, perché domani serviranno ancora e serviranno proprio “per mangiare”.

Per questa ragione – ad esempio – le popolazioni rurali italiane hanno inventato i migliori e più diversi alimenti del mondo, con tecniche colturali e produttive geniali, frutto dell’accumulo della esperienza di secoli. Le vestigia di questo lavoro di miglioramento sono persino nel paesaggio italiano: basta guardare le nostre vigne che diventano Patrimonio della Umanità UNESCO.

Quindi possiamo dire che le classi operaie e contadine ritratte da Pelizza da Volpedo non erano affatto ignoranti, ma cultori di una tradizione centenaria di adattamento e miglioramento della produzione. Quei nostri bisnonni erano addirittura animati da uno spirito di riscatto (lasciamo perdere per un attimo le etichette politiche) da mettere in moto “l’ascensore sociale” e diventare il ceto medio del nostro paese moderno.

Concludendo: gli ignoranti veri sono quelli che, presumendo di sapere, non imparano.

2017-11-05T19:09:47+00:00 By |2 Comments

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  1. […] Questo articolo è il secondo della serie dedicata alla rivoluzione digitale ed alle competenze necessarie ad affrontarla. Per rileggere il primo, segui questo link. […]

  2. […] alla rivoluzione digitale ed alle competenze necessarie ad affrontarla. Per rileggere il primo, segui questo link; per il secondo, segui […]

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