Le decisioni di gruppo
Molti ricerche, esperimenti ed esperienze hanno dimostrato che in gruppo si decide meglio, ma ci sono altrettante ricerche, esperimenti ed esperienze che dimostrano che le decisioni di gruppo possono essere fallimentari.
Le decisioni prese in gruppo permettono di ottenere risultati migliori in termini di equità, essendo rappresentato un ventaglio di interessi più ampio, e in termini di efficacia, perché si mettono in campo più informazioni, idee, punti di vista, creatività.
Ma, in determinate condizioni, le decisioni di gruppo possono portare a scelte fallimentari (avete mai partecipato a una riunione di condominio??!!).
L’inefficacia del pensiero di gruppo
È quello che ha scoperto Irving Janis che, nel suo libro victims of groupthink, analizza una serie di fallimenti del governo statunitense individuandone la causa nel cosiddetto groupthink che si verifica soprattutto in gruppi molto coesi, omogenei, isolati, con una leadership autoritaria e che decidono sotto pressione.
In queste condizioni il gruppo tende a saltare la parte iniziale di pensiero divergente che permette di chiarire gli obiettivi, mettere in campo una serie di alternative e sviscerarle per una decisione ottimale, convergendo invece verso una decisione veloce e unanime che difficilmente sarà quella migliore.
Il groupthink porta il gruppo a chiudersi in se stessi, a non dare credito a punti di vista contrastanti con l’opinione del leader, a uniformarsi verso l’unanimità. Ma non è tutto: il groupthink può anche portare il gruppo a polarizzarsi verso le posizioni più estremiste o alla diffusione di responsabilità, per cui si pone meno cura in una scelta di cui ci si sente responsabili solo in parte, o ancora a insistere su un’attività che non sta dando i risultati sperati per la riluttanza ad ammetter di aver speso invano le energie già investite.
In queste condizioni, cioè quando il gruppo è omogeneo, chiuso, isolato, con una leadership autoritaria e in condizioni di pressione, le decisioni prese sono spesso le più sbagliate.
Sostituire il teamthink al groupthink
Non è così invece quando il groupthink viene sostituito dal teamthink: una tecnica di procedere in cui le informazioni di tutti vengono condivise e scambiate, il processo decisionale scaturisce da una catena comunicativa che parte dall’esposizione delle informazioni di un membro che attivano informazioni rilevanti da un altro e così via, dove lo scopo del gruppo è condiviso, esiste una diversità di composizione, il gruppo è motivato dall’accuratezza delle informazioni, dalla voglia di scambiare le informazioni per alimentare una vera conoscenza, dalla qualità del prodotto finale.
Il supporto delle neuroscienze
Le neuroscienze stanno dando un grande contributo all’analisi del pensiero di gruppo e hanno aperto una serie di indagini estremamente interessanti:
- su come i differenti modi con cui percepiamo le persone del nostro gruppo e di altri gruppi sono integrati nelle prese di decisioni, portandoci a valutare diversamente le diverse informazioni e comportamenti;
- su come le basi neurali dei bias decisionali e delle euristiche portino a semplificare la decisione non potendo soffermarci ogni volta a soppesare ogni singolo stimolo e informazione;
- sul concetto di valore (economico, di reputazione, emotivo, ecc…);
- sul ruolo delle emozioni nelle scelte, che è dimostrato contribuiscono in maniera a volte maggiore rispetto alla nostra presunta razionalità;
- sull’attivazione e sulle funzioni delle diverse aree cerebrali coinvolte nei processi decisionali.
E questi campi di indagine stanno permettendo di identificare i fattori che facilitano il passaggio dal groupthink al teamthink.
11 strategie per passare dal groupthink al teamthink
Diversi studi ed esperimenti condotti all’università di Bologna, alla Miami University, alla Arkansan Tech University, hanno permesso di individuare i fattori che facilitano il teamthink che indichiamo di seguito:
- evitare che ciascuno dichiari le sue preferenze prima del dibattito;
- inquadrare la decisione come un problema da risolvere che implica una risposta esatta da trovare e spinge a ricercare con cura anche le informazioni meno accessibili;
- assegnare a ciascun membro il ruolo di fornire alcuni tipi di informazione e le fonti per verificarne l’esattezza;
- privilegiare il pensiero critico rispetto alla ricerca del consenso;
- incaricare il gruppo di proporre una graduatoria di decisioni alternative piuttosto che una decisione secca;
- dare più tempo per decidere;
- evitare che il leader dichiari in partenza le sue preferenze e aspettative;
- coinvolgere e invitare fonti esterne;
- incaricare alcuni membri del gruppo di segnalare se i comportamenti vanno verso il groupthink;
- istituire un avvocato del diavolo tra i membri del gruppo con lo scopo di criticare apertamente ogni scelta cercando sistematicamente tutte le falle possibili;
- instaurare una procedura con una serie di passaggi codificati che permetta a tutti, anche a quelli più timidi, di formarsi un’opinione autonoma ed esprimerla.
Agendo in questo modo è possibile evitare la polarizzazione verso le opinioni sostenute dalla maggioranza o dai membri più autorevoli, l’utilizzo delle sole informazioni possedute collettivamente o dai membri più partecipativi, la paura del giudizio sociale nell’esprimere opinioni non conformi alla maggioranza, il risultato di scelte fallimentari.
Facilitare le decisioni in azienda
Nella nostra attività di consulenza organizzativa molto spesso, purtroppo, le condizioni che troviamo in azienda sono più vicine a quelle del groupthink che a quelle del teamthink: la necessità di decidere rapidamente, l’impossibilità di confrontarsi con l’esterno, l’eccessivo rispetto dei ruoli gerarchici, l’uniformità di pensiero, la comodità di lasciar decidere al capo e altri fattori portano le aziende a incanalarsi verso il groupthink.
E’ per questi motivi che, soprattutto quando è necessario decidere in maniera innovativa e non per questioni quotidiane e gestionali, organizziamo workshop per arrivare a decisioni di gruppo efficaci in cui il nostro ruolo di facilitatori esterni ci consente di:
- organizzare la discussione rispettando le diverse fasi necessarie a condividere le informazioni possedute da tutti e a cercarne altre, generare prima e valutare poi le idee,
- favorire la partecipazione di ognuno alla discussione, comprendendone e rispettandone gli stili comportamentali, i ruoli, i tempi, le modalità per sfruttare e alimentare il contributo che ciascuno può dare
- focalizzare gli sforzi verso la soluzione del problema piuttosto che sull’affermazione delle proprie posizioni
- far condividere e rispettare le norme comportamentali atte a favorire il teamthink
.
Scrivi un commento
You must be logged in to post a comment.